Dell’affresco, tecnica pittorica praticata già nel mondo antico greco-romano, Giorgio Vasari fornisce un’eloquente
descrizione: “Di tutti gl’altri modi che
i pittori faccino, il dipingere in muro è più maestrevole e bello, perchè consiste nel fare in un giorno solo quello che nelli altri modi si può in molti ritoccare sopra il lavorato ... Vuole ancora una mano destra resoluta e veloce, ma soprattutto un giudizio saldo et intero, perchè i colori mentre che il muro è molle, mostrano una cosa in un modo, che poi secco non è più quello. E però bisogna che in questi lavori a fresco giuochi molto più al pittore il giudizio che il disegno, e che egli abbia per guida sua una pratica più che grandissima, essendo sommamente difficile il condurlo a perfezione. Molti de' nostri artefici vagliono assai negli altri lavori, cioè a oglio o a tempera, et in questo poi non riescono per essere egli veramente il più virile, più securo, più resoluto e durabile di tutti gl'altri modi, e quello che, nello stare fatto, di continuo acquista di bellezza e d'unione più degl'altri infinitamente" (1).
Nella concezione del trattatista aretino, l'apoteosi di Michelangelo si unisce dunque a quella dell'affresco e dell'esecuzione di nudi virili di grandi dimensioni: artista, tecnica e soggetto inarrivabili, punto d'arrivo della creatività di tutti i tempi.
Nella concezione del trattatista aretino, l'apoteosi di Michelangelo si unisce dunque a quella dell'affresco e dell'esecuzione di nudi virili di grandi dimensioni: artista, tecnica e soggetto inarrivabili, punto d'arrivo della creatività di tutti i tempi.
Ma la grande fortuna
dell’affresco è intimamente legata alla rinascita dell’arte italiana
iniziata nel Duecento. E di tale rinascita accompagna il rapido
sviluppo e la straordinaria fioritura, fino a diventare il più felice ed
efficace mezzo di espressione pittorica del rinascimento, e
a eclissare tecniche altrettanto antiche e prestigiose, come il mosaico o la
vetrata dipinta.
Giotto, Dono del mantello, 1296-1305 ca., Assisi, chiesa Superiore
La tecnica della pittura "a fresco" viene inaugurata ad
Assisi, come afferma Giorgio Vasari: “La
pittura cominciò a fare per le fatiche di Cimabue grande acquisto del lavoro a
fresco”; la Basilica di San Francesco fu il punto d’incontro e
confronto delle maggiori scuole pittoriche italiane, che diedero vita ad
un’unica grande opera corale. Il merito va sicuramente ascritto agli artisti della scuola romana guidata da Pietro Cavallini e Jacopo Torriti, alla scuola fiorentina rappresentata da Cimabue, Giotto e dai maestri giotteschi (che operarono nella chiesa Inferiore con i collaboratori
umbri) e alla scuola senese rappresentata da Pietro Lorenzetti e Simone Martini. Essi contribuirono a diffondere il nuovo linguaggio pittorico in tutta Italia, pur con modalità e tempi differenti.
Il grande ciclo di Assisi documenta in modo inequivocabile il passaggio da una tecnica pittorica essenziale e di veloce esecuzione, ad una tecnica più complessa e di maggior precisione. Nelle storie del Vecchio e del Nuovo
Testamento (ciclo della Chiesa superiore), sono presenti il procedimento a pontate, che permette di coprire col colore una porzione di parete lunga quanto il ponteggio, e la tecnica a giornate, che invece prevede di frammentare le figure e tutta la composizione in unità pittoriche più o meno vaste. Una giornata poteva pertanto corrispondere a un'ampia porzione di paesaggio o di cielo, di esecuzione più rapida, oppure a una piccola area, per esempio occupata da una testa sola, dato il lungo tempo di realizzazione entro l'asciugatura dell'intonaco. Quest'ultimo procedimento ravvisabile nei riquadri delle "Storie di Isacco" e perfezionato in "buon fresco" da Giotto di Bondone nelle Storie di san Francesco, si rilega in modo indissolubile alle nuove forme dell'arte italiana del Quattrocento.
Giotto, Morte del cavaliere di Celano, 1296-1305 ca., Assisi, chiesa Superiore
Tracciato delle "giornate" e loro ordine di successione
In conclusione
La leggerezza dei colori, la loro omogeneità e naturalezza (per l'uso dei pigmenti naturali e delle terre), la stessa penetrazione del pigmento nell’intonaco, sono tutti fattori che insieme contribuiscono alla resa di una visione più realistica, che dà corpo alle figure e suggerisce profondità spaziale. A questo si aggiunge l’effetto di unione cromatica, che costituisce uno dei requisiti fondamentali della pittura, anche in rapporto diretto con l’unità compositiva, effetto che nel caso dell’affresco è intrinseco alla natura stessa della tecnica, mentre nel caso di altre tecniche verrà perseguito con l’uso di vernici colorate atte a spegnere i colori troppo accesi. Inoltre a partire da Giotto, ed è questa un’altra delle più importanti innovazioni rispetto al passato, la pittura a fresco si avvale sempre più del sostegno del disegno di base, che da semplice indicazione sommaria dei contorni delle figure, diviene disegno particolareggiato, eseguito a carbone, poi scurito e ripassato a pennello con terra di Sinope. La sinopia così ottenuta e il successivo disegno preparatorio eseguito sull’intonaco fresco acquistano una nuova funzione, che non è più soltanto quella di guida per la stesura cromatica, ma quella di supporto strutturale della pittura stessa.
La leggerezza dei colori, la loro omogeneità e naturalezza (per l'uso dei pigmenti naturali e delle terre), la stessa penetrazione del pigmento nell’intonaco, sono tutti fattori che insieme contribuiscono alla resa di una visione più realistica, che dà corpo alle figure e suggerisce profondità spaziale. A questo si aggiunge l’effetto di unione cromatica, che costituisce uno dei requisiti fondamentali della pittura, anche in rapporto diretto con l’unità compositiva, effetto che nel caso dell’affresco è intrinseco alla natura stessa della tecnica, mentre nel caso di altre tecniche verrà perseguito con l’uso di vernici colorate atte a spegnere i colori troppo accesi. Inoltre a partire da Giotto, ed è questa un’altra delle più importanti innovazioni rispetto al passato, la pittura a fresco si avvale sempre più del sostegno del disegno di base, che da semplice indicazione sommaria dei contorni delle figure, diviene disegno particolareggiato, eseguito a carbone, poi scurito e ripassato a pennello con terra di Sinope. La sinopia così ottenuta e il successivo disegno preparatorio eseguito sull’intonaco fresco acquistano una nuova funzione, che non è più soltanto quella di guida per la stesura cromatica, ma quella di supporto strutturale della pittura stessa.
Tale procedura permetteva al pittore di operare
con maggiore sicurezza e precisione, limitando al massimo, o
escludendo del tutto il ritocco a secco, considerato ancora al tempo di Giorgio Vasari, un procedimento da evitare. Nel Rinascimento la costruzione prospettica, che non permetteva improvvisazioni, segnò la progressiva scomparsa della sinopia, che fu sostituita dal trasferimento di un grande disegno su carta (cartone o spolvero) direttamente sull’intonaco.
1: tratto dalle Vite (1550) di Giorgio Vasari
Francesco Negri Arnoldi, Il mestiere dell’arte, Paparo Edizioni, Napoli 2001
In quest’epoca si alternarono metodi con finiture a secco e grandi decorazioni con pittura alla calce, soprattutto per ornamentazioni architettoniche. Nel Cinquecento, se da una parte si rafforzò il mito dell’affresco, dall’altra si assistette al progressivo allargarsi della superficie delle giornate con conseguente uso di tempere, colle e calce in aggiunta ai pigmenti. Le tecniche di decorazione architettonica alla calce raggiunsero risultati straordinari mischiandosi con la tecnica tradizionale.
Scritto da Giovanni Galli
1: tratto dalle Vite (1550) di Giorgio Vasari
Francesco Negri Arnoldi, Il mestiere dell’arte, Paparo Edizioni, Napoli 2001