Renè Magritte, L'uso della parola I, 1928-29. Olio su tela, 54,5x72,5 New York, coll. privata
"Il pensiero è invisibile come il piacere o il dolore. Ma la pittura fa intervenire una difficoltà: c'è il pensiero che vede e che può essere descritto visibilmente". Lettera di Renè Magritte a Michel Foucault, 23 maggio 1966
Dal 1926 Magritte dipinse alcune versioni inerenti "L'uso della parola", che hanno dato vita a numerose interpretazioni critiche. Come riferimenti sono state indicate le ricerche semiotiche di Ferdinand de Saussure, la filosofia di Ludwig Wittgenstein e le varie esperienze artistico-letterarie che tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento esprimevano la rottura della certezza del linguaggio: da Rimbaud, a Lautréamont, da Seurat a Balla e Boccioni, sino agli artisti Dada, laddove insomma il mondo reale e quello dei segni si separano inesorabilmente e il secondo non riesce più ad affermare la tangibilità o comunque la consistenza del primo.
"Nei quadri di Magritte - asserisce Suzi Gablik - tutto è volto a una specifica crisi di coscienza, nella quale può essere trascesa la limitata evidenza del mondo del senso comune".
Nelle opere del pittore surrealista sono continuamente sollevati problemi sull'identità relazionale di oggetti e simboli, problemi di somiglianze equivalenti, problemi sull'intera validità del vedere rappresentativo.
In "L'uso della parola I", Magritte dimostra che un'immagine non è lo stesso dell'oggetto che vuole rappresentare, e che quella e questo non svolgono la stessa funzione.
Se osserviamo con attenzione l'opera, ci accorgiamo che l'artista dipinge in modo volutamente semplificato una realistica pipa e, come negli abbecedari, le viene accostata una scritta in caratteri corsivi: "Ceci n'est pas une pipe" ("Questo non è una pipa"). Appare subito chiaro che tale affermazione nega l'evidenza, ma non la logica, perchè quella rappresentazione bidimensionale della pipa non potrà mai essere fumata.
"Nei quadri di Magritte - asserisce Suzi Gablik - tutto è volto a una specifica crisi di coscienza, nella quale può essere trascesa la limitata evidenza del mondo del senso comune".
Nelle opere del pittore surrealista sono continuamente sollevati problemi sull'identità relazionale di oggetti e simboli, problemi di somiglianze equivalenti, problemi sull'intera validità del vedere rappresentativo.
In "L'uso della parola I", Magritte dimostra che un'immagine non è lo stesso dell'oggetto che vuole rappresentare, e che quella e questo non svolgono la stessa funzione.
Se osserviamo con attenzione l'opera, ci accorgiamo che l'artista dipinge in modo volutamente semplificato una realistica pipa e, come negli abbecedari, le viene accostata una scritta in caratteri corsivi: "Ceci n'est pas une pipe" ("Questo non è una pipa"). Appare subito chiaro che tale affermazione nega l'evidenza, ma non la logica, perchè quella rappresentazione bidimensionale della pipa non potrà mai essere fumata.
Scrive a tal proposito Giorgio Cortenova: "Michel Foucault sostiene che l'opera va interpretata come un calligramma di cui Magritte sveli la frantumazione e la frattura interna. [...] L'artista avrebbe preso spunto dalla caratteristica organizzazione visiva del calligramma in cui la disposizione dei segni che formano il testo, e che dicono la cosa di cui parla, coincide con la forma della cosa stessa".
Il quadro prende di mira una delle convenzioni estetiche più antiche, quella secondo cui il pregio di un'opera starebbe nel rappresentare nel modo più illusionistico possibile la realtà. Magritte avverte lo spettatore che ciò che è rappresentato è, appunto, solo rappresentato come sono rappresentazioni una parola o un pensiero; l'arte non copia la natura nè tantomeno la ricrea.
Infatti la pittura è un linguaggio convenzionale esattamente come la scrittura; quel che è raffigurato con mezzi pittorici è un ragionamento e non un'emozione, lo straniamento del pensiero di fronte alla negazione di qualcosa che si dava per scontato. Tale operazione è quindi un calligramma segretamente costituito da Magritte, poi disfatto con cura. Ogni elemento della loro figura, la loro posizione reciproca e il loro rapporto derivano da tale operazione annullata non appena compiuta.
Infatti la pittura è un linguaggio convenzionale esattamente come la scrittura; quel che è raffigurato con mezzi pittorici è un ragionamento e non un'emozione, lo straniamento del pensiero di fronte alla negazione di qualcosa che si dava per scontato. Tale operazione è quindi un calligramma segretamente costituito da Magritte, poi disfatto con cura. Ogni elemento della loro figura, la loro posizione reciproca e il loro rapporto derivano da tale operazione annullata non appena compiuta.
Questo = questo disegno che vedete, di cui certamente riconoscete la forma
non è = non coincide
una pipa = la parola pipa
Questo = questo enunciato composto da segni e di cui Questo è il primo termine
non è = non rappresenta
una pipa = un oggetto come quello raffigurato nell'immagine e che non si può rappresentare allo stesso modo tramite parole
Questo = questo calligramma dissolto costituito da una pipa in forma di sola immagine e da un testo nel ruolo di solo testo
non è = è incompatibile
una pipa = rappresentata in forma di calligramma che unisce immagine e testo facendone scaturire la loro natura ambigua
Bibliografia:
G. Cortenova, Magritte, Art Dossier, inserto redazionale allegato al n. 59, 1991
G. Dorfles, A.Vettese, Arti visive; il Novecento, Atlas, 2006
M. Foucault, Questo non è una pipa, Serra & Riva, Imola, 1983
S. Gablik, Magritte, Rusconi Arte, 1988
L. Wittgenstein, Della certezza; l'analisi filosofica del senso comune, Einaudi Paperbacks Filosofia, Torino, 1978A