Nel XIV secolo l’arte era considerata una semplice abilità manuale.
Gli artisti provenivano di solito da un ambiente di piccolo borghesi, di artigiani o contadini benestanti ed erano obbligati a iscriversi a una corporazione.
Pittori, scultori e architetti, erano organizzati in diverse corporazioni; nel medioevo gli artisti aderivano alle corporazioni dei rappresentanti delle professioni con cui avevano qualche affinità. I pittori, che originariamente avevano creato un’organizzazione autonoma, furono aggregati agli inizi del Trecento – come i mercanti di colori – alla corporazione maggiore dei Medici e Speziali. Membri di questa corporazione erano, oltre ai medici, anche i commercianti e in generale rappresentanti di numerose specialità affini. Grazie alla loro consociazione con medici, speziali e mercanti, i pittori si trovarono organizzati in una corporazione primaria.
Gli artisti provenivano di solito da un ambiente di piccolo borghesi, di artigiani o contadini benestanti ed erano obbligati a iscriversi a una corporazione.
Pittori, scultori e architetti, erano organizzati in diverse corporazioni; nel medioevo gli artisti aderivano alle corporazioni dei rappresentanti delle professioni con cui avevano qualche affinità. I pittori, che originariamente avevano creato un’organizzazione autonoma, furono aggregati agli inizi del Trecento – come i mercanti di colori – alla corporazione maggiore dei Medici e Speziali. Membri di questa corporazione erano, oltre ai medici, anche i commercianti e in generale rappresentanti di numerose specialità affini. Grazie alla loro consociazione con medici, speziali e mercanti, i pittori si trovarono organizzati in una corporazione primaria.
Agnolo Gaddi e bottega, riquadro del ciclo di affreschi inerenti la Leggenda della Vera Croce, 1380-90 ca.
Firenze, Cappella Maggiore della Basilica di Santa Croce
Ma i pittori non beneficiarono della loro iscrizione a una delle arti maggiori, perché, e la cosa è di fondamentale importanza, non erano membri attivi, di pieno diritto, come i medici, i farmacisti e i commercianti al minuto, anzi erano classificati come semplici sottoposti dell’arte.
Essi formavano infatti, in seno alla corporazione dei Medici e Speziali, un’organizzazione a sé a cui appartenevano anche gli imbianchini e i macinatori di colori, tutti designati come semplici sottoposti.
Questo gruppo però, a differenza degli artigiani che non avevano alcun diritto nella corporazione, ottenne nei primi decenni del Trecento una limitatissima autonomia amministrativa e giudiziaria. Grazie al generale movimento democratico di questi anni, i pittori, le cui condizioni economiche e sociali andavano di continuo migliorando, poterono raggiungere un grado ulteriore di emancipazione. I pittori finirono per avere una coscienza democratica e, in quanto gruppo a sé, tendevano all’autonomia più degli scultori o degli architetti, che erano iscritti a corporazioni minori di artigiani.
Gradualmente essi assunsero una coscienza borghese, mentre gli architetti e scultori fiorentini di regola continuarono a lavorare senza rilievo individuale fino verso il 1400.
La corporazione dei pittori, come ogni altra, aveva naturalmente i suoi regolamenti. Il tirocinio del pittore seguiva il corso usuale dell’artigianato medievale. Il pittore cominciava come apprendista presso un maestro qualificato della corporazione, il quale aveva su di lui pieni poteri disciplinari. L’apprendista doveva imparare il mestiere cominciando dalle operazioni più umili: macinare i colori e addestrarsi alla preparazione della tavola; acquisire tutte le conoscenze tecniche necessarie a tutti gli espedienti del mestiere.
"...Doveva inoltre passare anni come apprendista e giornaliero, prima di poter dipingere come il maestro. Quest’ultimo concetto va inteso in senso letterale, in quanto copiare capolavori riconosciuti, specialmente quelli del maestro, era l’elemento principale della prima fase dell’apprendistato. Solo tenendo presente questo tirocinio si può comprendere la tenace conservazione nella pittura trecentesca dell’eredità tradizionale" (Antal).
Essi formavano infatti, in seno alla corporazione dei Medici e Speziali, un’organizzazione a sé a cui appartenevano anche gli imbianchini e i macinatori di colori, tutti designati come semplici sottoposti.
Questo gruppo però, a differenza degli artigiani che non avevano alcun diritto nella corporazione, ottenne nei primi decenni del Trecento una limitatissima autonomia amministrativa e giudiziaria. Grazie al generale movimento democratico di questi anni, i pittori, le cui condizioni economiche e sociali andavano di continuo migliorando, poterono raggiungere un grado ulteriore di emancipazione. I pittori finirono per avere una coscienza democratica e, in quanto gruppo a sé, tendevano all’autonomia più degli scultori o degli architetti, che erano iscritti a corporazioni minori di artigiani.
Gradualmente essi assunsero una coscienza borghese, mentre gli architetti e scultori fiorentini di regola continuarono a lavorare senza rilievo individuale fino verso il 1400.
La corporazione dei pittori, come ogni altra, aveva naturalmente i suoi regolamenti. Il tirocinio del pittore seguiva il corso usuale dell’artigianato medievale. Il pittore cominciava come apprendista presso un maestro qualificato della corporazione, il quale aveva su di lui pieni poteri disciplinari. L’apprendista doveva imparare il mestiere cominciando dalle operazioni più umili: macinare i colori e addestrarsi alla preparazione della tavola; acquisire tutte le conoscenze tecniche necessarie a tutti gli espedienti del mestiere.
"...Doveva inoltre passare anni come apprendista e giornaliero, prima di poter dipingere come il maestro. Quest’ultimo concetto va inteso in senso letterale, in quanto copiare capolavori riconosciuti, specialmente quelli del maestro, era l’elemento principale della prima fase dell’apprendistato. Solo tenendo presente questo tirocinio si può comprendere la tenace conservazione nella pittura trecentesca dell’eredità tradizionale" (Antal).
Bibliografia
F. Antal, La pittura fiorentina e il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento, Einaudi, Torino, 1969