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Visualizzazione dei post da dicembre, 2011

L'uso della parola I

Renè Magritte, L'uso della parola I, 1928-29. Olio su tela, 54,5x72,5 New York, coll. privata "Il pensiero è invisibile come il piacere o il dolore. Ma la pittura fa intervenire una difficoltà: c'è il pensiero che vede e che può essere descritto visibilmente". Lettera di Renè Magritte a Michel Foucault, 23 maggio 1966 Dal 1926 Magritte dipinse alcune versioni inerenti "L'uso della parola", che hanno dato vita a numerose interpretazioni critiche. Come riferimenti sono state indicate le ricerche semiotiche di Ferdinand de Saussure, la filosofia di Ludwig Wittgenstein e le varie esperienze artistico-letterarie che tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento esprimevano la rottura della certezza del linguaggio: da Rimbaud, a Lautréamont, da Seurat a Balla e Boccioni, sino agli artisti Dada, laddove insomma il mondo reale e quello dei segni si separano inesorabilmente e il secondo non riesce più ad affermare la tangibilità o

Pittori e corporazioni nella Firenze del Trecento e del primo Quattrocento

Nel XIV secolo l’arte era considerata una semplice abilità manuale. Gli artisti provenivano di solito  da un ambiente di piccolo borghesi, di artigiani o contadini benestanti ed  erano obbligati a iscriversi a una corporazione . Pittori, scultori e architetti, erano organizzati in diverse corporazioni; nel medioevo gli artisti aderivano alle corporazioni dei rappresentanti delle professioni con cui avevano qualche affinità. I pittori , che originariamente avevano creato un’organizzazione autonoma, furono aggregati agli inizi del Trecento – come i mercanti di colori – alla corporazione maggiore dei Medici e Speziali . Membri di questa corporazione erano, oltre ai medici, anche i  commercianti e in generale rappresentanti di numerose specialità affini. Grazie alla loro consociazione con medici, speziali e mercanti, i pittori si trovarono organizzati in una corporazione primaria . Agnolo Gaddi e bottega , riquadro del ciclo di affreschi inerenti la  Leggenda   della Vera Croce ,

Masaccio nella Cappella Brancacci

Nella chiesa fiorentina di Santa Maria del Carmine , a destra dell’altare si trova la cappella dedicata a Santa Maria del Popolo (definita da Ingres «culla della bella pittura»), di cui Felice Brancacci fu patrono dal 1422. Felice Brancacci, mercante facoltoso e potente, commissionò nel 1423 il ciclo di affreschi a Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai detto Masaccio (San Giovanni Valdarno 1401 – Roma 1428) e a Tommaso di Cristofano Fini detto Masolino (Panicale, San Giovanni Valdarno 1383 – Firenze 1440 circa). L’attuale aspetto della Cappella Brancacci è frutto di vari interventi iniziati subito dopo l’esilio di Felice Brancacci nel 1435, reo di essersi schierato nelle file della fazione antimedicea , cadde in disgrazia e fu allontanato dalla città. Il registro alto era adornato da due scene dipinte da Masaccio ai lati della bifora gotica; di queste, perdute al pari della volta costolonata e dei lunettoni , venivano recuperate nel 1984, anche se non in buono stat