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Masaccio nella Cappella Brancacci



Nella chiesa fiorentina di Santa Maria del Carmine, a destra dell’altare si trova la cappella dedicata a Santa Maria del Popolo (definita da Ingres «culla della bella pittura»), di cui Felice Brancacci fu patrono dal 1422.
Felice Brancacci, mercante facoltoso e potente, commissionò nel 1423 il ciclo di affreschi a Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai detto Masaccio (San Giovanni Valdarno 1401 – Roma 1428) e a Tommaso di Cristofano Fini detto Masolino (Panicale, San Giovanni Valdarno 1383 – Firenze 1440 circa).
L’attuale aspetto della Cappella Brancacci è frutto di vari interventi iniziati subito dopo l’esilio di Felice Brancacci nel 1435, reo di essersi schierato nelle file della fazione antimedicea, cadde in disgrazia e fu allontanato dalla città. Il registro alto era adornato da due scene dipinte da Masaccio ai lati della bifora gotica; di queste, perdute al pari della volta costolonata e dei lunettoni, venivano recuperate nel 1984, anche se non in buono stato, le sinopie sottostanti. Sulla sinistra, corrispondendo esattamente al percorso visivo tracciato dal Vasari, si trova la sinopia realizzata probabilmente tra il 1424 e il 1425, raffigurante il pianto di Pietro a seguito del tradimento (Mt, 26, 75; Lc, 22, 61-62): «una figura tutta impegno plastico di grande potenza e segnata a tratti nervosi» (Vasari), paragonabile, secondo Andrea Baldinotti, alla solitaria immagine del San Giovanni di Giotto (Cappella Peruzzi in Santa Croce), chiusa nel cerchio delle sue visioni. Dall’altro lato, non citato da Vasari, ma perfettamente riconoscibile dal gruppo delle pecore prospetticamente scalato in basso a destra, l’episodio finale del Vangelo di San Giovanni (Gv, 21, 15-17), in cui Cristo nomina Pietro pastore universale, il cosiddetto Pasce agnos meos, pasce oves meas.




Una lucidissima analisi di Baldinotti, dimostra come il legame fra questi ultimi due soggetti, dal punto di vista teologico, risulti tanto profondo quanto, nel suo semplice accostamento visivo, di straordinaria efficacia. Le tre negazioni proferite da Pietro mentre Cristo viene giudicato, dal sommo sacerdote, sono riscattate dalla triplice professione di fede che Gesù, dopo la sua risurrezione, richiede al pescatore di Galilea nel loro ultimo incontro, sul lago di Tiberiade.



Gli affreschi della Cappella Brancacci illustrano le storie di San Pietro, sono una chiara allusione alla salvezza realizzata da Cristo attraverso la Chiesa e per il tramite di Pietro, suo vicario in terra. Si legano, come sostiene Stefano Borsi, all’esaltazione dell’antichità (per le origini eremitiche mediorientali) e dell’ortodossia filopapale professata dall’ordine carmelitano, da cui sembra provenire il dotto ispiratore del programma, finora sfuggito all’identificazione.
Masolino e Masaccio iniziarono i lavori pittorici nel 1424; nel 1428, anno della scomparsa di Masaccio, i lavori non erano ancora conclusi: Filippino Lippi li terminò molti anni dopo,  nel 1481, completando le storie del registro inferiore delle pareti laterali. Nel frattempo, i Carmelitani avevano collocato sulla parete di fondo la tavola duecentesca con la Madonna del Popolo, distruggendo l’affresco raffigurante il Martirio di san Pietro (del quale rimane qualche frammento rinvenuto nel 1989).
La decorazione della Cappella nacque da un progetto unitario come si nota osservando l’impianto spaziale complessivo, mentre l’assegnazione dei temi fu concordata secondo le inclinazioni personali.
E’ evidente l’intenzione dei due artisti di realizzare un ciclo stilisticamente omogeneo, ed è stato accertato che il rapporto tra i due pittori fu di stima reciproca e collaborazione. Eppure, nonostante la scelta di un’unica gamma cromatica chiara e luminosa, le differenze tra i due pittori emergono con evidenza.
Significativo in questo senso è il raffronto istituibile tra Adamo ed Eva nell’Eden di Masolino e La cacciata dei Progenitori dall’Eden di Masaccio.
Le due figure auliche ed eleganti di Masolino, morbidamente modellate e rischiarate da una luce irreale, occupano uno spazio astratto; non hanno alcuna dimensione psicologica e non possiedono nessuna concretezza umana. Collocati sulla parete di fronte, i progenitori di Masaccio poggiano fermamente sul terreno: i loro corpi scorciati sono rappresentati di tre quarti, su diversi piani, nell’atto d’incedere. Il rilievo masaccesco è forte, modellato da una livida luce che proietta ombre minacciose a terra. Anche l’anatomia è descritta con estremo realismo; Adamo ed Eva di Masaccio esprimono, pur nella disperazione e nella vergogna, un dolore profondamente umano. La scena si svolge oltre la Porta del Paradiso in un paesaggio brullo e desolato; in alto, un magnifico angelo perfettamente scorciato e classicamente abbigliato, brandisce la spada per scacciarli con un gesto che è già presàgo della misericordia divina.
In Masaccio si ravvisano gli influssi della scultura toscana (il contatto con Donatello è documentato nel 1426, ma deve essere di gran lunga precedente): nel riquadro relativo alla Cacciata dall’Eden, la figura di Adamo è raffrontabile ad un Ercole o un Prometeo, mentre Eva riprende il modello della Venus Pudica derivato dall’antica statua all’epoca già segnalata a Firenze, o "dalla più patetizzante versione di Giovanni Pisano nel Pulpito del Duomo di Pisa" (Stefano Borsi).

A sinistra: Masaccio, Cacciata dall’Eden, 1424-1425. Affresco, Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci

A destra: Masolino da Panicale, Adamo ed Eva nell’Eden, 1424-1425. Affresco, Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci



Bibliografia:

A.Baldinotti, A. Cecchi, V. Farinella, Masaccio e Masolino: il gioco delle parti, 5 Continents Editions srl, Milano, 2002

S. Borsi, Masaccio, Art e Dossier: inserto redazionale allegato al n. 116, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 1996

G. Dorfles, S,Buganza, J. Stoppa,  Arti visive: dal Quattrocento all’Impressionismo, Istituto Italiano Edizioni Atlas, Bergamo, 2006

Testi e filmato Youtube di Giovanni Galli

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